"Il
Cannocchiale aristotelico": da retorica della letteratura
a letteratura della retorica",
"Studi Secenteschi", XXXII (1991), pp. 33-63.
L’autore
esamina il Cannocchiale aristotelico con gli stessi
strumenti retorici proposti dal Tesauro nella propria opera:
ne emerge una fortissima predominanza della metafora di opposizione
(antitesi, antimetatesi, ossimori e chiasmi la fanno da padrone),
che sembra strutturare anche la stessa armatura concettuale
dell’opera, oscillante tra la trattazione della "metafora"
e quella dell’"argutezza", tra l’"argutezza" e l’impresa,
tra il delectare e il docere e così via. Il
Cannocchiale aristotelico, dunque, che non a torto
è stato considerato l’omologo, sul versante logico-concettuale,
dell’Adone del Marino, lo è non solo per l’esaltazione
teorico dell’arguzia che in esso si trova, ma anche per il
fatto che ricorre alla medesima strumentazione retorica: non
solo con la sostanza del contenuto, ma anche con la forma
del contenuto il Cannocchiale riproduce e giustifica
quella l’irresoluzione secentesca tra il vecchio e il nuovo
mondo, tra la cosmologia tolemaica e quella copernicana che
è stata individuata nell’Adone.
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