Pierantonio
Frare, Il mito nella trattatistica e nella narrativa del Seicento.
Metamorfosi vs conversione, in «Istituto Lombardo.
Accademia di Scienze e Lettere. Rendiconti. Classe di Lettere
e Scienze Morali e Storiche», CXXXVII, 2 (2003) [ma uscito a
maggio 2005], pp. 381-405.
SOMMARIO
Il saggio indaga il rapporto tra
mito e letteratura nella trattatistica e nella narrativa del
Seicento sulla scorta della Poetica Sacra di Giovanni
Ciampoli. Secondo Ciampoli, il mito 1) non va mai usato negli
scritti seri, quelli che si propongono il docere e non
il delectare; 2) può essere usato negli scritti
giocosi, ma senza mai mischiare sacro e profano; 3) può
essere usato solo come puro nome (ridotto, cioè, alla figura
retorica dell’antonomasia; 4) può essere usato nella
scrittura scientifica, alla quale è concessa la licenza di
sostituire i termini del lessico specialistico con i
corrispondenti mitologici, ridotti in tal modo a metafore.
Salvo numeratissime eccezioni, e nonostante la produzione
trattatistica e narrativa secentesca sia vastissima e pressoché
impadroneggiabile, si può comunque trarre la conclusione che
il mito è del tutto assente o vi è adibito secondo le
modalità proposte da Ciampoli.
Ma le eccezioni sono importanti: nel Colloandro fedele
di Marini il mito dell’androginia, nella Lucerna
di Pona il ricorso alla struttura mitica della metamorfosi
indicano una presenza del mito significativa; e le Dicerie
sacre di Marino paiono sottese dal proposito di parificare
la religione cristiana alla mitologia pagana. Sembra, cioè,
che Marino intenda sostituire una “poetica della
metamorfosi”, tipica del mito, ad una “poetica della
conversione” tipica invece del cristianesimo e nemica della
prima, e come tale propugnata dai suoi avversari del circolo
barberiniano, da Famiano Strada a Giovanni Ciampoli.
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