Il
vero attraverso il velo. Metafora (di equivoco) e menzogna
in Emanuele Tesauro,
in Figures à l'italienne. Métaphores, équivoques et pointes
dans la littérature maniériste et baroque, études réunis
par Danielle BOILLET et Alain GODARD, Université Paris III
Sorbonne Nouvelle, Paris 1999, pp. 307-35.
Secondo
il Cannocchiale Aristotetelico, la "metafora di e quivoco"
è quella che "dalla unità del nome muta il concetto". Questa
definizione viene poi articolata dal trattatista secondo le
tre classi di metafora ("metafora semplice", "proposizione
metaforica", "argomento metaforico") e arricchita da una ricca
serie di esempi: da essi risulta che la metafora di equivoco
è particolarmente produttiva come matrice di intrecci narrativi
e/o teatrali. L’applicazione delle definizioni teoriche alle
opere tragiche di Tesauro (Ermegildo, Edipo,
Ippolito: Torino 1661) mostra come egli faccia
largo uso di questo tipo di metafora, sia a livello microtestuale
sia - soprattutto nell’Ippolito - a livello macrotestuale.
In tutti i casi, comunque, la metafora di equivoco - come
avviene per gli altri sette tipi di metafore e come è caratteristica
dell’argutezza secondo Tesauro - manifesta la propria natura
conoscitiva: attraverso il falso della lettera, essa è portatrice
di una verità che non può essere detta altrimenti. Tuttavia,
dopo le polemiche suscitate dall’Adone e la vigorosa
reazione del circolo barberiniano, Tesauro si preoccupa anche
di trovare una giustificazione teologica all’esaltazione e
all’uso delle figure delle figure retoriche, che per loro
stessa natura rischiano di sbilanciare pericolosamente la
poesia sul versante della menzogna: tale giustificazione va
individuata, probabilmente, in un passo del Contra mendacium
di s. Agostino, che equipara le apparenti menzogne della Bibbia
a metafore e permette, quindi, di coonestarne l’uso.
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